
Stando con loro, giorno dopo giorno, si impara che non è qui che bisogna cercare i “colpevoli” o i “cattivi”.
La maggior parte della truppa partecipa per motivi economici a quelle che vengono chiamate, spesso impropriamente (ma non è il caso del Libano), “missioni di pace”. Quasi tutti vengono dal Sud, a casa hanno una moglie che li aspetta, almeno un figlio e un mutuo da pagare. Certo, sono sempre pronti a sparare, seppure “per scopo difensivo”, ma tra di loro, c’è anche gente come gli sminatori. Moderni certosini che, per 1700 euro al mese e 7 ore al giorno, stanno in ginocchio sotto un sole cocente anche a metà ottobre, scandagliando centimetro per centimetro bananeti e campi di tabacco, potenziali trappole per gli agricoltori libanesi.
Qui, infatti, ci sono migliaia di cluster bombs, i famosi ordigni a grappolo inesplosi, regalo dei bombardamenti israeliani del 2006. Così come lungo la Blue line, il confine meridionale con Israele, presidiato da un nostro avamposto militare e segnato con 198 bidoni azzurri con la scritta UN (Nazioni Unite). Linea contesa e resa ancora più pericolosa dalla presenza di numerose mine.

Hanno contato per me in italiano, francese, inglese, da uno fino a dieci. Poi a mia volta ho contato in arabo (con risultati decisamente peggiori) e in una specie di lingua universale fatta di sorrisi, gesti ed emozioni, abbiamo continuato a comunicare. Ad un certo punto, una bambina di sette anni, dal nome incomprensibile, mi ha chiesto quando sarei tornata. Scontato forse, ma anche questa era la mia prima volta. Ho smesso di essere serena e avrei voluto andarmene, mentre lei mi seguiva ad ogni passo, tenendomi per mano. Siamo rimasti ancora un po’, ma prima che le salutassimo, forse per non farci “stare male”, le hanno fatte rimettere in fila e uscire. Loro hanno abbassato la testa e diligentemente se ne sono andate. Un copione che conoscevano.
In autobus molti di noi sono stati assaliti dall’angoscia. Alcuni dei nostri militari hanno preferito aspettarci fuori e - anche se forse tutto era stato preparato per i giornalisti “embedded” - in diversi altri hanno pianto.
Articolo pubblicato sul numero di gennaio de La SPInta, il mensile dello Spi Cgil di Bologna, che coordino. La redazione mentre ero assente ha deciso di lasciarmi uno spazio per un resoconto in prima persona. Li ringrazio per l'attenzione e "l'eccezione".
1 commento:
sono fiera di te!
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