lunedì 28 dicembre 2009

La sfida di Betlemme, pallottole e granate sull'albero di Natale



Mentre Betlemme si preparava per la messa di Natale, un manipolo di giovani palestinesi e di internazionali maneggiava con spensieratezza pallottole e residui di bombe. L'appuntamento era al primo piano dell'Handala center, nel cuore del campo profughi di Al A’za o Beit Jebren, il più piccolo della zona: una sola via, sulla quale dal 1948 vivono mille e cinquecento persone, strette in una ragnatela di vicoli, finestre e scale. A pochi metri, svoltato l'angolo, c'è il famoso Muro, la barriera difensiva di separazione costruita dagli israeliani, che dalla seconda Intifada cinge e isola Betlemme.
E proprio all'ombra delmuro e dei suoi graffiti, realizzati da artisti e pacifisti di tutto il mondo, il 24 dicembre è avvenuto il passaggio del patriarca latino, Fouad Twal, nella consueta tappa che dà il via alle celebrazioni di Natale. Ad attenderlo, quest'anno, c'era un albero speciale. Una sottospecie di abete scarnissimo, addobbato con decine di bicchierini di plastica trasparenti e al posto dei festoni, per l'appunto, pallottole, gusci di granate e bombe inesplose. Residui e souvenir del 2002, quando di Betlemme si parlò non solo a Natale, ma anche per l'assedio israeliano alla Basilica della Natività, in cui restarono asserragliati un'ottantina di palestinesi, alcuni dei quali considerati pericolosi terroristi da Israele, tenendo il mondo col fiato sospeso per oltre cinquanta giorni.
«Li abbiamo raccolti nelle case e tra la gente, che li aveva conservati - racconta Mohanned Alazzeh, uno dei giovani responsabili dell'Handala center, che ha avuto l'idea dell'albero - tutta Betlemme visse sotto assedio in quel periodo, non solo la basilica. Vogliamo mandare un messaggio di solidarietà e di libertà religiosa, ma vogliamo anchenon essere dimenticati, noi come tutti i profughi palestinesi».
I ragazzi sull'albero hanno appeso decine di bicchierini di plastica, su ognuno hanno scritto il nome del villaggio da cui provengono gli abitanti del campo, per oltre il 70% con un'età al di sotto dei 35 anni. Ad aiutarli c'erano una trentina di stranieri, tra cui anche alcuni italiani, come Federico e Francesco, 23 e 26 anni, venuti da Roma per partecipare al«Campo invernale natalizio contro l'occupazione», organizzato dall'Handala center. In quello che è l'unico spazio pubblico del campo, si organizzano attività ricreative per i bambini, ma anche manifestazioni e workshop contro il Muro e per i diritti di tutti i rifugiati palestinesi.
E proprio a Betlemme, nella notte di Natale, i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania hanno potuto ritrovarsi. Tra i 15 mila pellegrini, il presidente palestinese Abu Mazen e il primo ministro Salam Fayyad, infatti, ad assistere alla funzione c'erano anche 300 cristiani provenienti da Gaza, a cui Israele ha fornito permessi di soggiorno speciali, proprio per consentire loro di partecipare alla messa di Natale. Un decimo dei tre mila cristiani della Striscia e soprattutto nessuno di quelli considerati nella fascia «critica», ovvero con un'età tra i 16 e i 35 anni. Sono arrivati dal valico israeliano di Eretz, carichi di valigie e commozione. «Nonostante i lodevoli sforzi per trovare una soluzione al conflitto in corso, tutti i tentativi volti a raggiungere la pace sono falliti». Sono le amare parole pronunciate nel messaggio di Natale dal patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal. Parole ancora più amare nella «città-simbolo della pace, in Terra Santa e nelmondointero», come Benedetto XVI ha definito Betlemme. Una pace che sembra ancora più lontana all'ombra di quel muro, dove l'albero di Natale dell'Handala center si piega come un filo d'erba.

di Anna Maria Selini
pubblicato su l'Unità

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