A un anno e quattro mesi ha potuto fare quello che a molti suoi concittadini è vietato: uscire dalla Striscia di Gaza. Ma il permesso concesso al piccolo Muath, purtroppo, è legato al tumore in stadio avanzato che sta divorando il suo fegato.
Per questo lui e il padre Ahmed sono arrivati in Italia, a Roma, dove un'equipe del Policlinico Umberto I lo attendeva da tempo per effettuare accertamenti e forse un trapianto. Un'attesa «estenuante» come l'ha definita Benedetta Paravia, la portavoce dell'onlus romana "Angels" che si è occupata e ha "fatto scoppiare" il caso sui giornali, provocando così l'intervento diretto del ministro Frattini presso le autorità israeliane e l'arrivo in Italia di Muath, con tanto di accoglienza in grande stile. Peccato che a Gaza restino centinaia di malati che ogni mese si vedono rifiutare il permesso di uscita per sottoporsi a cure specialistiche al di fuori della Striscia. Cure che non possono essere fornite per la mancanza di trattamenti, macchinari o pezzi di ricambio, causata dall'embargo imposto da Israele dal 2007, quando il movimento fondamentalista islamico Hamas ha preso il potere. Sono le autorità israeliane, infatti, ad avere totale autonomia decisionale sul controllo dei varchi con la Striscia e come ha ammesso Paravia «senza la collaborazione delle istituzioni non sarebbe stato possibile arrivare a una soluzione positiva e rapida del caso».
La Farnesina dal canto suo ha sottolineato la «massima collaborazione fornita da Israele». «Le autorità israeliane - si legge in una nota - hanno peraltro precisato che il bambino era già stato in cura nel settembre scorso presso una struttura ospedaliera israeliana, ribadendo la loro piena disposizione a dare riscontro a passi compiuti presso di loro».
Muath ora verrà sottoposto a tutti gli accertamenti necessari, nella speranza di poterlo salvare, ma qual è la situazione per gli altri malati? «Ad ottobre, su 300 richieste di permessi d'uscita per trattamenti ospedalieri specialistici relativi a minori, solo due sono state rifiutate - dichiara Mahmud Daher, responsabile dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per Gaza -. Ma per gli adulti la situazione continua ad essere problematica. Sempre ad ottobre - continua - sono state inoltrate alle autorità israeliane 1166 richieste totali: di queste il 71.4 percento sono state approvate, mentre le restanti, quasi il 30 percento, sono state negate o definitivamente cancellate».
Circa trecentotrenta malati con problemi cardiaci, oncologici, ortopedici o oftalmologici, oppure pazienti che fanno richiesta di effettuare diagnosi o controlli post terapia. Un dato che continua ad essere elevato, visto che a pochi chilometri da Gaza, queste persone potrebbero ricevere le cure necessarie cui avrebbero diritto. Così come elevati restano l'attesa e i passaggi burocratici necessari. L'Oms ha calcolato che dal momento in cui il medico avvia la pratica di trasferimento a quando i vari dipartimenti competenti di Fatah, Hamas e Israele trovano un accordo, passa in media un mese. E nell'attesa, in alcuni casi, c'è chi muore. Come Fatenah, la protagonista dell'omonimo cartone animato palestinese, prodotto proprio dall'Oms e dall'associazione israeliana Physicians for Human Rights. Nome di finzione, ma storia vera, di una ventisettenne di Gaza che scopre di avere un tumore al seno, ma che a causa della negligenza e del conservatorismo dei medici della Striscia da un lato e delle umiliazioni e del dispotismo dei soldati israeliani dall'altro, muore prima di poter oltrepassare il valico di Eretz. Lo stesso valico superato nei giorni scorsi dal piccolo Muath, divenuto suo malgrado il simbolo di una Gaza che continua a soffrire.
di Anna Maria Selini
pubblicato su Peacereporter
Nessun commento:
Posta un commento