Vicente Perez, quando lo incontriamo, ha “appena” 88 anni. Sembra un musicista jazz dallo sguardo sornione e dalla risata cinematografica. Oggi come quasi tutti i “ragazzi della rivoluzione” ricopre un importante ruolo nel sindacato dei pensionati, ma quando incontrò per la prima volta Che Guevara, nel 1958, era soltanto un lavoratore del tabacco.
“Sono stato il primo a cui il Che disse che non sarebbe rimasto per sempre a Cuba – ricorda con orgoglio -. Ci incontravamo di nascosto, io ero iscritto al partito comunista e lui stava cercando di formare un gruppo di operai da usare contro il regime e il sindacato, che allora appoggiava Batista. Ci incontrammo tre o quattro volte, facevamo lunghe chiacchierate, lui fumava la pipa e io gli portavo in regalo del mate. ‘Comandante, la faremo cittadino cubano, gli dissi un giorno’. Lui rispose: ‘Amo molto Cuba, ma ho un debito con l’America’ e non aggiunse altro. Era serio, di poche parole, a differenza di quello che molti credono era un uomo normale. Non come Fidel, davanti a lui ti sentivi sempre una formica”.
Ad aver conosciuto entrambi i fratelli Castro è Martell Rosa, 74 anni, storico dirigente sindacale degli azucareros. Appena ventenne militò nella lotta clandestina, animando i grandi scioperi degli studenti e dei lavoratori dello zucchero (allora il settore più importante dell’economia cubana, ndr). Tra la mani stringe una foto, datata 1981, dove lo si vede parlare e scherzare con Fidel e Raul. “Fidel è sempre stato molto forte e vitale – racconta - non solo fisicamente. La sua è un’intelligenza al di sopra della norma, a cui si aggiunge un grande fascino”. Ben noto alle donne cubane.
Ad avere ancora oggi una vera e propria venerazione per il lider maximo, per esempio, è Rosa Gonzalez, 72 anni, tra le fondatrici delle organizzazioni femminili dell’isola. A soli 22 anni, Rosa si ritrovò “senza accorgersene” a fare la messaggera per Che Guevara, allora nascosto con i suoi nella Sierra Maestra. “Il mio compito era portare i messaggi dalla provincia di Granma all’Avana – ricorda – li infilavo dove capitava, sotto la suola delle scarpe, la lingua o addirittura nelle mutande. Mia madre cucinava per il Che dolci di latte, ne andava matto, anche se io non ho mai avuto la fortuna di parlare direttamente con lui. Mentre con Fidel sì, anni dopo, ed è stata un’emozione indimenticabile”.
Rosa è solo una dei 30-40 mila pensionati volontari al servizio del regime: dopo aver terminato il lavoro continuano a prestare la loro opera, formando i giovani sul lavoro o comunque impegnandosi a tramandare gli “ideali della rivoluzione”.
Non tutti gli anziani però sono così fedeli e basta camminare per l’Avana per rendersene conto.
Amado ha 76 anni e vende caramelle per strada. “La pensione non mi basta per vivere – spiega – così arrotondo un po’ e il governo chiude un occhio”. Lui la rivoluzione l’ha vissuta “in disparte” e non lascerebbe mai Cuba per i suoi affetti, “ma capisco chi se ne va – dice - soprattutto i giovani. Qui ci sono molte difficoltà e povertà”.
Poco più in là, dal marciapiede dove due volte a settimana arrotonda, riparando scarpe e borse, Enrique, 23 anni, tuona: “Voi stranieri vi siete mai chiesti perchè voi potete viaggiare e noi no?”.
Se Fidel incanta ancora i vecchi rivoluzionari, le nuove generazioni sentono sempre più il fascino delle tentazioni e delle libertà occidentali, finora promesse a molti e concesse a pochi.
“Noi non abbiamo paura dei prossimi 20 anni – sentenzia fiducioso il vecchio azucarero Martell - sappiamo che alcuni si lamentano. Ci sarà sempre una piccola parte contraria, ma non sarà mai la maggioranza dei cubani. E poi, noi ci fidiamo dei giovani: in fondo, sono i nostri nipoti”.
di Anna Maria Selini
pubblicato su l'Eco di Bergamo, martedì 27 gennaio 2009
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