Decine di soldati, molti ancora in servizio nell’esercito israeliano (Idf), hanno rilasciato le loro testimonianze (riprese dai media israeliani e stranieri) a Breaking the silence, l’associazione di militari che ha, per l’appunto, rotto il silenzio. Il tabù secondo il quale l’esercito israeliano sarebbe tra i più «morali» al mondo.
«Per la prima volta – dichiara Yehuda Shaul (nella foto), ebreo ortodosso e fondatore dell’associazione – l’Idf ha pensato di non mettere le proprie truppe a rischio, anche se questo significava ferire le persone attorno.
Il concetto che preferiamo gli errori alla conta dei corpi dei nostri, è la grande storia di Piombo fuso e così per la prima volta si sono usate massive tattiche di guerra contro i palestinesi. Bombardamenti, artiglieria e uso di fosforo bianco in centri abitati, senza preoccuparsi dei civili». Quello che nei giorni scorsi ha fatto dire al giudice Goldstone, che ha coordinato l’inchiesta Onu sulla guerra a Gaza, che Israele si è macchiato di crimini contro l’umanità (così come Hamas con il lancio di missili Qassam).
«Una delle testimonianze più forti – continua Shaul – è quella sull’atmosfera dentro la compagnia prima dell’entrata a Gaza, quando un soldato dice: "Peccato per la nostra democrazia che non possiamo fare quello che dovremmo". Piombo fuso è stato un buco nero per gli israeliani, noi non sapevano cosa stava succedendo a Gaza. Otto anni di razzi Qassam lanciati dalla Striscia sul sud di Israele hanno fatto crescere un atteggiamento molto diverso: oltre il 90% degli israeliani era favorevole all’offensiva. Ma le persone parlano di Piombo fuso – sottolinea Shaul – come di una guerra, quando non c’è stata nessuna resistenza.
Da un punto di vista militare è andata molto bene, ma da un punto di vista morale è stata una pessima operazione. L’esercito israeliano ha sempre avuto un senso morale nei combattimenti, ma con «Piombo fuso» è cambiato. Voglio credere – conclude Shaul – che questo è qualcosa che la società israeliana non permetterà ancora, perché è successo esattamente quello che l’esercito ha voluto per noi. E in una democrazia è la gente la padrona dei militari, non viceversa». (foto di Lorenzo Bernini)
di Anna Maria Selini
pubblicato su l'Eco di Bergamo
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