martedì 21 ottobre 2008

Alfabeto kosovaro

25 STORIE DAL PAESE PIÙ GIOVANE D'EUROPA

di Giulia Bondi e Anna Maria Selini

Sandali sportivi calpestano le strade polverose di Pristina. Poche donne kosovare sarebbero a proprio agio indossandoli. Gli altri piedi scavalcano voragini, evitano cartacce, zigzagano tra le lastre di pietra di via Madre Teresa comodamente calzati in tacchi a spillo vertiginosi. I nostri hanno scarpe sportive e rasoterra.
Straniere e riconoscibili, ma accolte quasi ovunque come figlie o sorelle, in tre settimane di viaggio su e giù per il Kosovo abbiamo ascoltato decine di voci, soprattutto giovani e donne, del paese più giovane d'Europa, l'ultimo nato dalla dissoluzione dei Balcani dopo i sanguinosi conflitti degli anni Novanta, ancora occupato dalla Missione ad interim delle Nazioni Unite, Unmik.
Un mosaico pieno di contraddizioni e memorie divise, che abbiamo cercato di raccontare in un piccolo vademecum: 25 frammenti per il Kosovo dalla A alla Z.

Alfabeto Kosovaro è stato pubblicato in tre puntate su Peacereporter.it.

A come aquila, l'altra bandiera

Aquila si dice Shqipe, ed è il simbolo degli albanesi. Da Aquila viene l'aggettivo schipetaro, Aquila è anche un nome femminile in voga, nei periodi in cui perfino l'anagrafe si veste di nazionalismo e le frecce per Belgrado spariscono dai cartelli stradali. L'aquila nera bifronte spicca sul fondo rosso delle bandiere. Ha guidato i guerriglieri dell'Esercito di liberazione del Kosovo come la stella sul basco del Che l'equipaggio del Granma. Sventola ai matrimoni, ciondola dagli specchietti retrovisori. Ma è la bandiera dell'Albania. Ai due milioni di abitanti del nuovo Kosovo indipendente serve un vessillo diverso. La bandiera ufficiale è una carta geografica dorata su fondo azzurro, con sei stelle d'oro che citano in modo quasi commovente l'Unione Europea e il desiderio di entrarci, anche se dovrebbero simboleggiare i sei popoli del Kosovo: albanesi, serbi, rom, bosniaci, turchi e gorani. Alla gente, la nuova bandiera non piace. “Avevano indetto un concorso di idee, poi hanno fatto di testa loro, scegliendo il peggio”, protesta il pubblicitario Fisnik Ismaili: “come può un bambino imparare a disegnarla?”. Il nuovo simbolo ha già suggerito decine di barzellette, la più comune delle quali racconta che, di fronte ai sei asterischi che sormontano la bandiera, un noto politico abbia sbraitato: “che diavolo ci fa lì sopra la mia password?”. Un’altra aquila nera, ma in campo giallo, c’è anche sulla bandiera tradizionale bizantina. Le narrazioni più semplicistiche dei conflitti balcanici parlano di odi etnici e religiosi insormontabili, sopiti per secoli sotto imperi e dittature, differenze abissali esplose nelle guerre negli anni Novanta. E allora, come mai l’aquila degli ortodossi è uguale a quella dei musulmani? Perché tra gli albanesi ci sono sia islamici che cattolici? Chi sono i gorani, popoli dei monti di lingua serba e religione del Profeta? Come mai a nel centro di Prizren tra moschea, chiesa cattolica e chiesa ortodossa ci sono meno di cento metri in linea d'aria? Le aquile stanno a guardare.

di Giulia Bondi

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