“Italiane, ah italiane... buongiorno signorina, W il duce e bandiera rossa”. Inutile cercare di spiegare alla signora serba che incontriamo per una strada di Mitrovica Nord, che la frase appena pronunciata è più che una contraddizione. Quasi un ossimoro. L’ha imparata nel secondo dopoguerra, racconta, quando i soldati italiani occuparono questa stessa zona dei Balcani.
L’Italia, vista da serbi, albanesi o rom, è tutta uguale: una Bengodi distante poche ore di viaggio, un paese dove si possono vincere milioni di euro alla televisione, sotto lo sguardo di belle donne poco vestite, con calciatori ricchi e stilosi come esempi nazionali.
“Mio cugino gioca in una squadra di calcio italiana e presto sposerà una modella della televisione – racconta Ibra, che fa il cameriere in un grande hotel di Pristina – io verrò al matrimonio, sono sicuro che sarà da sogno e presto mi trasferirò da voi”.
“Mi piacerebbe fare l’attrice, se le condizioni di vita miglioreranno starò qui, se no andrò via. Magari in Italia o in Svizzera, chi lo sa...”, racconta Akbulena, 19 anni, abito rosso aderente e pose da star, ha appena partecipato alla realizzazione di un video, finanziato dall’Osce, nel villaggio di Fushe Kosova.
Se nei negozi si parla in italiano, l'accoglienza è entusiastica. Quasi tutti sanno qualche parola, imparata in un’esperienza di emigrazione o guardando Buona Domenica sul satellite. Per chi arriva in Italia parlando albanese o serbo, il trattamento è un leggermente diverso.
di Anna Maria Selini
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