Camminare nel centro di Hebron è un po' come sentirsi dentro un video game. Ad ogni angolo puoi trovare un posto di blocco, un muro che chiude l'accesso ad una via, filo spinato, reti e soldati, che si lasciano stranamente fotografare e riprendere, consapevoli di essere ormai l'unica attrazione di questo posto fantasma.
I primi coloni sono arrivati nel '68, appena terminata la guerra dei sei giorni, fingendosi dei turisti. Dopo essere stati scoperti e diverse negoziazioni, negli anni si è arrivati alla spartizione della città in due zone, una sotto amministrazione palestinese, l'altra affidata alle colonie.
Nel 1979 è sorto il primo insediamento ebraico dentro la città, seguito da occupazioni di singole case ed edifici, lungo una direttrice che mira a spezzare in due il centro, proprio nei pressi della moschea di Ibrahim, dove secondo la tradizione ebraica sono sepolti Abramo, sua moglie Sara e il figlio Isacco.
La colonizzazione, appoggiata di fatto dal governo e dall'esercito israeliano, in questi anni ha fatto passi da gigante: nel 2005 gli insediamenti censiti erano una ventina, sparsi tra il centro e i dintorni.
"Il problema è che a volte una sola casa paralizza un'intera zona - spiegano al Hebron Comitee - a causa della presenza di carri armati e check point che puntualmente seguono l'occupazione, con il prestesto di proteggere i coloni".
In realtà, qui i coloni sono per la maggior parte ultra ortodossi e particolaremente aggressivi.
Camminando tra i negozi del mercato vecchio, per esempio, basta alzare la testa per vedere la rete di protezione (simile a quella che si trova in alcune vie della città vecchia di Gerusalemme), per non essere colpiti dagli oggetti lanciati dai coloni che vivono sopra il suq. Nei migliori casi si tratta di spazzatura, cibo o pietre, nei peggiori di acqua bollente o escrementi.
Nel 1994, un colono, medico ed ex ufficiale dell'esercito, ha superato in uniforme i controlli davanti alla moschea (l'ingresso è presidiato dall'esercito israeliano) e ha cominciato a sparare sui fedeli in preghiera. Nei territori occupati è esplosa la rabbia. Sassi, fuoco e altri morti. Per un bilancio, a fine giornata, di oltre 60 vittime.
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