giovedì 6 novembre 2008

P come Pristina

Inutile chiedere un’indicazione stradale a Pristina. Qui, le vie, i governi, la storia, cambiano troppo in fretta e la gente ha rinunciato a ricordare i nomi delle strade e delle piazze.
Meglio affidarsi a punti di riferimento come grandi negozi, ristoranti o sedi delle organizzazioni internazionali, che con poca discrezione hanno occupato il centro della città.
Benvenuti a Prishtina (in albanese) o Pristine (in serbo), si legge avvicinandosi alla capitale del Kosovo, anche se qui di serbi se ne incontrano pochi.
A ribadire la (costituzionale) parità delle etnie che compongono il mosaico kosovaro (albanesi, serbi, rom, turchi, gorani e bosniaci) c’è anche la nuova bandiera. Troppo simile a quella dell’Unione europea e per questo poco amata, comincia a fare timidamente la sua comparsa accanto all’onnipresente aquila a due teste albanese.
Nelle vie grigie e trafficate, ai freddi palazzoni della vecchia Jugoslavia, si alternano moderni grattacieli di cristallo, nuovi status symbol di modello occidentale, come gli shopping center, le catene d’abbigliamento e le concessionarie d’auto di lusso, aperti a tutti ma accessibili a pochi.
Lungo la centralissima via Madre Teresa, le bancarelle di libri, intanto, resistono allo scorrere del tempo e della crisi aumentando l'offerta dei testi di seconda mano. "Gli internazionali - racconta un libraio che qualche mese fa ha dovuto chiudere il suo negozio - non sono interessati ai nostri libri e alla nostra cultura, mentre i kosovari devono pensare a mangiare".
Il fascino di Pristina è racchiuso nel piccolo cuore antico, attorno alla moschea vecchia, tra piccoli forni che vendono burek, il pane tradizionale, e negozi femminili alla moda saudita. Da queste parti può capitare di vedere una moschea sorgere sopra un supermarket, dove, inutile dirlo, è rigorosamente vietata la vendita di alcolici. E anche qui, tra i generatori elettrici, di cui sono dotati tutti gli esercizi commerciali, si moltiplicano gli Internet point.
Pristina ama l’America che l’ha liberata: su un palazzo campeggia la gigantografia di Bill Clinton, gli Hillary’s bar si incontrano ad ogni angolo e la sera i ragazzi riempiono i pub, mischiandosi ai cosiddetti “internazionali”, presenti ormai dal ’99. Grazie a loro, il costo degli affitti e della vita ha raggiunto i livelli di una capitale europea, senza che gli stipendi abbiano fatto lo stesso.


di Anna Maria Selini

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