mercoledì 22 aprile 2009

Freelance e freelancer

Forse è per via di quella "R" che ci siamo persi per strada. Come se, in Italia, la professione del giornalista libero e indipendente fosse monca. Troncata sul finire. Freelance appunto, not freelancer, come dicono anche qui.

"Sei venuta a tue spese e senza la certezza di rivendere i pezzi o i video che registri?", mi ha chiesto, ammirato, un collega 24enne di una tv araba. "Complimenti, che coraggio".
Ho cercato, nel mio inglese non così fluent (ma nemmeno so bad), di cercare una parola per spiegargli che non si tratta di eroismo. "Precarietà, do you know?". Da noi, i nuovi giornalisti che, ad eccezione di pochi fortunati, iniziano a muoversi - gli ho detto - sono per la stragrande maggioranza precari, sottopagati, sfruttati e con canali d'accesso al quanto limitati. Lui mi ha guardato con un'aria ancora più sbalordita, quasi fosse un problema di traduzione.

Niente grandi testate alle spalle. Niente producer: figura tipicamente anglosassone che affianca i reporter, specie televisivi, fissando per loro contatti, appuntamenti, autisti e facendo spesso da traduttore o addirittura - come insegna la mia amica Gaia da New York - da "trasparente" sostituto.
Niente grandi hotel, meglio le piccole pensioni o le case dei cooperanti italiani, sempre generosi e ospitali. Nutella, vino e parmigiano in cambio di notizie, contatti, suggerimenti.
Tante telefonate, prima dopo e durante, un taccuino in tasca, taxi o preferibilmente mezzi pubblici per muoversi e stare in mezzo alla gente (in teoria proprio quella che si dovrebbe raccontare!). Adrenalina nello zaino, scarpe comode e poche ore di sonno. Pranzi che si dimenticano, condizioni igieniche scioccamente sorvolate, tempo insufficiente, denaro controllato.
Ma anche incontri, preziosi imprevisti. Pregiudizi che si sciolgono. Persone, storie, volti, sofferenze, tante, che impacchetti e porti via. Per poi rielaborarle, con calma, attraverso parole, immagini, suoni: just lavoro. Mentre i ricordi, o forse nemmeno quelli, restano chiusi dentro di te.

Può sembrare cinico, ma sono i posti dimenticati, dove i diritti sono maggiormente negati, quelli a cui ci si affeziona subito e di più. Come a un cucciolo in un canile. Luoghi che non vorresti mai lasciare e che inspiegabilmente ti mancheranno, anche perché, a differenza dell'Italia, non sai se, quando e soprattutto cosa al tuo ritorno potresti ritrovare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

amica e da mercoledì ad oggi che hai fatto??
ti leggo come se leggessi un libro...eppoi...eppoi???cos'è successo dopo??
attendo newssss!!!
saluti anche dalla pinchetti naturalmente!!!
;-)))
cri

ANNA MARIA SELINI ha detto...

resisti, ti racconto tutto al ritorno, Non ho avuto un attimo e non solo per quello
baciii