giovedì 16 gennaio 2014

125 anni di National Geographic

Questa volta non c'è voluto un amico di passaggio da Roma per "decidermi" a visitare la mostra intitolata National Geographic, 125 anni. La grande avventura. Tutta farina del mio sacco e addirittura due mesi prima della chiusura (2 marzo). Insomma, faccio progressi e soprattutto ne è valsa la pena.

La mostra non è dedicata, come credevo, soltanto agli scatti più famosi della rivista, ma al National Geographic stesso, dalla nascita nel 1888 fino ad oggi.
Un viaggio attraverso quella che è nata come una fondazione e soltanto poi è diventata una rivista. Un excursus attraverso la storia e l'esplorazione della terra. Anzi della terra, dell'aria, del mare, della scienza. Sono questi i titoli delle prime sezioni della mostra, in cui si incontrano gli esploratori, spesso donne, che già da fine '800, con mezzi che a noi oggi fanno un po' sorridere, toccarono il punto più profondo del mare e quello più alto della terra.

"Qualunque sia il luogo in cui ti trovi se non hai paura vuol dire che in te c'è qualcosa che non va", recita una scritta sulla parete a firma di M. Nichols.
E non si può non immaginare, quasi toccare, la paura delle vittime della "terra violenta", la sezione dedicata alla natura spietata e spettacolare al tempo stesso, mentre spazza via case o illumina il paesaggio con le sue tempeste di lampi. 

Ma la natura suscita soprattutto meraviglia, con la mantide camaleontica, il colibri "catturato" così da vicino da sembrare gigante, fino alla tenerezza di un cucciolo di leone che abbraccia, letteralmente, una leonessa (la didascalia racconta che molte madri americane ne chiesero una copia).

E poi non potevano mancare gli "scatti epici", quelli dei fotografi che hanno fatto la storia del National Geographic e viceversa: il bimbo figlio di una ricercatrice che abbraccia un cucciolo d'orango, sovvertendo regole e ruoli, i primi piani di sconosciuti diventati leggendari e soprattutto lei, che nemmeno la guardi tanto la conosci: la bambina afghana di Steve Mc Curry, il grande fotografo che ho avuto la fortuna di intervistare.

E' un viaggio per il mondo, dai villaggi turistici fino ai luoghi che non vedremo mai, un viaggio che passa e chiude in Italia, con le copertine più famose della rivista sbarcata anche da noi.
"Credo che ovunque si vada si finisca col trovare qualche riflesso di se stessi",  recita un'altra scritta a firma di Peter Jenkins. 
Fino al 2 marzo al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Ho confermato la mia tradizione di last minute, invece, con "Capa. Robert Capa in Italia 1943-1944", la mostra con gli scatti forse meno famosi e proprio per questo ancora più interessanti del grande fotografo di guerra.
Capa ha seguito lo sbarco degli alleati anche in Italia e raccontato con grande ironia e schiettezza gli italiani d'allora.
Sono stata così lastminute che la mostra, allestita al Museo di Roma (alias Palazzo Braschi, che vale da solo una visita), ha chiuso il giorno stesso.
Migliorerò. Forse.

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