martedì 21 ottobre 2008

D come Dobrila, la pasionaria serba

“Quando una potenza straniera fa un'occupazione, e pochi mesi dopo installa in quella terra la sua più grande base militare, che cosa vuol dire questo? Perché mi chiedi a chi è servita l'indipendenza del Kosovo?”. Ha il carisma di una storia misteriosa alle spalle, le certezze incrollabili della fede e nessun pelo sulla lingua Dobrila Bozovic, ex docente di storia dell'arte a Parigi e oggi portavoce laica del Patriarcato di Pec, culla della cultura serbo ortodossa nel cuore del Kosovo, protetto giorno e notte dai soldati del contingente italiano Kfor. Dobrila decifra per noi gli affreschi bizantini raccontando la storia del Patriarcato, ci autorizza a scattare foto incurante delle proteste delle monache, liquida con freddezza due soldati sloveni arrivati per una visita guidata. “Siete in ritardo e piove. Se arrivavate all'ora giusta, non c'era pioggia e non c'erano sloveni”, ci bacchetta ironica all'inizio della visita. Poi ci trattiene per quasi due ore davanti a caffè e dolcetti turchi, ricorda la casa della sua infanzia accanto a una moschea, la colonna sonora del canto del muezzin. “Se islam e cristianesimo non possono vivere insieme nei Balcani, allora non può esserci pace in nessun luogo. Noi siamo stati manipolati, tutti e due i popoli, sia i serbi che gli albanesi”, dice. Manipolati da chi aveva interesse a sbriciolare il multiculturalismo jugoslavo in uno spezzatino di stati cuscinetto etnici, senza risorse e senza storia. “Vogliono che la Serbia accetti l'indipendenza del Kosovo per entrare in Europa”, dice, “ma il Kosovo è la culla della nostra cultura e religione, o entriamo in Europa con Cristo o rinneghiamo la nostra anima. Dovete capire che l'economia e la demografia non sono tutto. Il 90% di popolazione albanese, per i serbi non è che un numero”. Due milioni di abitanti, un territorio grande come l'Abruzzo, separato dalla nostra penisola solo da un pezzo di Montenegro e un braccio di mar Adriatico, coperto di montagne e punteggiato di preziosissimi monasteri ortodossi, in parte danneggiati durante gli atti vandalici antiserbi del 2004. In Kosovo, anche i monasteri parlano delle tante culture dei Balcani. Il Monastero di Decani, a pochi chilometri da Pec, è una visione: militari all'ingresso, un pesante portone di legno. E oltre il muro, su un prato verde, un perfetto edificio romanico, candido come la cattedrale di Trani, scolpito dagli stessi artigiani negli stessi anni. All'interno del Monastero, la magia, il salto a oriente, negli azzurri della pittura bizantina, odore di incenso e Cristi Pantocratori. “Adesso non si può dire cosa sia successo sulla nostra terra, è passato troppo poco tempo”, sospira Dobrila, “forse saranno i nostri nipoti a poterlo raccontare”.

di Giulia Bondi

Nessun commento: