mercoledì 29 aprile 2009

Gaza, dopo 50 giorni entrano i container italiani

Dopo cinquanta giorni ce l'hanno fatta. I due container, con 40 tonnellate di aiuti alimentari, dell'onlus genovese "Music for peace", sono entrati finalmente nella Striscia di Gaza: nei prossimi giorni gli aiuti verranno distribuiti direttamente, porta a porta, alla popolazione palestinese colpita dalla recente offensiva israeliana.
Un'attesa estenuante, complicata dalla burocrazia, l'intervento dell'Egitto e le restrizioni del governo israeliano, che i volontari, con alle spalle 14 missioni in aree di crisi, hanno superato, riuscendo là dove numerose ong internazionali e anche alcuni governi stranieri, hanno fallito. Un video prodotto dai volontari di Music for Peace, già mostrato da Repubblica.it, infatti, nelle scorse settimane aveva documentato le migliaia le tonnellate di aiuti alimentari provenienti da tutto il mondo bloccate ai confini con la Striscia, spesso lasciate marcire sotto il sole.
"Ad appena un mese dal mio recente viaggio a Gaza - ha dichiarato il Presidente dell'Unicef Italia Vincenzo Spadafora - la situazione resta quanto mai delicata. Basti pensare che il territorio di Gaza è stato oggetto di un blocco per 22 mesi. Solo nel mese di marzo sono entrati una media di 132 camion ogni giorno, rispetto ai 475 nel maggio 2007".
Partiti il 9 marzo da Genova con 4 container (due con 20 tonnellate di medicinali, due con 40 tonnellate di aiuti alimentari), i volontari genovesi sono arrivati al porto di Alessandria d'Egitto l'11 marzo e il 17 al valico di Rafah, unica porta d'accesso dall'Egitto alla Striscia di Gaza. Da lì è cominciato il calvario. Giorni di estenuanti trattative con i funzionari del valico, i servizi egiziani, l'ambasciata italiana in Egitto, finché sono stati fatti entrare solo i container con i medicinali. Il carico alimentare è stato invece rifiutato dalle autorità egiziane e rispedito nella cittadina di El Arish, a 40 km dal valico. Lì è stato preso in consegna e depositato nei magazzini del World Food Program, in attesa del lasciapassare israeliano e dell'ambasciata italiana a Tel Aviv. E' lì che gli aiuti sono rimasti fino all'altra notte, quando finalmente sono stati fatti transitare da un altro valico, quello egiziano-israeliano di El Auga, e fatti entrare nella Striscia di Gaza.
"A differenza di alcune ong o governi stranieri - spiega Stefano Rebora, presidente di Music for Peace - ci siamo rifiutati di consegnare il materiale ad altri, sotto forma di donazione, come viene suggerito di fare, per esempio, dalla Mezza luna rossa egiziana. Abbiamo sempre minacciato di tornarcene a casa con tutto, non mi sono mai separato dalle chiavi dei container e dalla documentazione che attesta tutti i passaggi e le trafile che abbiamo dovuto superare, memori delle esperienze in altre 14 missioni in giro per il mondo (Iraq, Afghanistan, Sarawi, Sri Lanka nella zona Tamil, ecc.). Anche se questa è stata sicuramente la più complicata".
Una delle ultime difficoltà da superare per i volontari ha avuto il sapore del miele, ma tutt'altro che dolce: in ogni pacco alimentare ne era contenuto un vasetto, per un totale di 2000 circa. "Sembrerebbe che una legge vieti l'importazione di miele in territorio israeliano - spiega Rebora -. Ci hanno chiesto di toglierlo, ma avrebbe voluto dire aprire confezioni compresse, praticamente sotto vuoto, compromettendo l'intero carico. Dobbiamo ringraziare l'ambasciata e il consolato italiani, il loro impegno e supporto sono stati decisivi, così come quello di numerosi parlamentari italiani, di tutti gli schieramenti".
I volontari dell'associazione, in collaborazione con alcune ong palestinesi, hanno già iniziato a distribuire il cibo (e il miele), casa per casa, nelle famiglie e nelle zone più martoriate della Striscia, in particolare al nord.
A più di tre mesi dalla cessazione delle ostilità a Gaza, la ricostruzione e ripresa delle normali attività, già precarie, è lontana dall'essere partita. Secondo l'unicef, il 10% della popolazione di Gaza rimane senza energia elettrica e il 9% ha scarso accesso all'acqua potabile.Le cliniche di assistenza di base dell'UNRWA, nel sud del territorio, hanno registrato una significativa prevalenza di malattie infettive legate alla qualità dell'acqua e dei servizi igienico-sanitari. Le famiglie hanno ancora un accesso limitato a beni di prima necessità come cibo, carburante e denaro contante. "Anche se il conflitto si è concluso 100 giorni fa, i bambini di Gaza continuano a soffrire, sia fisicamente che psicologicamente - afferma Patricia McPhillips, rappresentante speciale dell'Unicef nel Territorio Palestinese Occupato -. È fondamentale che le forniture e i materiali necessari per il recupero e la riabilitazione siano lasciati entrare".
"Personalmente ho contato più di cento bambini malati di cancro - dichiara Azmi Al Astal, direttore dell'unità di salute mentale della Mezza luna rossa di Gaza - ma allo stato attuale non abbiamo le strutture adeguate per curarli e l'uscita è impedita dalle autorità israeliane. Il destino di questi bambini è uno solo".

di Anna Maria Selini pubblicato su Repubblica.it

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono tornato oggi dopo 22 ore di viaggio. Lost in Kabul. L'ira dei profughi afgani che colpisce nel vento...

Tin

ANNA MARIA SELINI ha detto...

Non vedo l'ora di leggerti e raccontarci!
un abbraccio