domenica 27 febbraio 2011

I fantasmi del mare

Li trovi nelle banchine più isolate dei porti italiani. Sopravvivono nascosti su navi arrugginite, come fantasmi in vecchie case disabitate. Arrivano da tutto il mondo, ma dopo aver attraversato mari, sono rimasti senza acqua, cibo e soprattutto stipendio. Li chiamano marittimi abbandonati, perchè l'armatore che li aveva assunti, arrivati a destinazione, dichiara di non poterli più pagare e sparisce. E così in una volta sola si ritrovano disoccupati, senza risorse e in alcuni casi anche clandestini. Costretti a rimanere a bordo delle navi per non perdere i loro diritti, sopravvivono solo grazie all'intervento di associazioni, sindacati e alla generosità delle capitanerie. E' un destino che tocca centinaia di marinai in tutto il mondo, ma con la crisi economica i casi di abbandono sono raddoppiati. E nell'attesa che entri in vigore una convenzione internazionale che dovrebbe tutelarli, nuovi fantasmi si aggirano invisibili nei porti italiani.
Caffè turco, alcool, sigarette e santini. Dovevano servire come salvagenti in mezzo al mare, sono diventati un kit di sopravvivenza sulla terra. Sono ovunque: nel soggiorno dove il capitano mostra le scartoffie che documentano l'abbandono, nelle cabine anguste come loculi, dove ognuno pensa e ripensa alla famiglia lontana e persino in cucina, accanto al frigorifero vuoto e ai fornelli mantenuti puliti, come se la nave dovesse ripartire da un momento all'altro. Invece, nella maggior parte dei casi ci vogliono mesi. Mesi di stipendi che non arrivano, di udienze, avvocati e molto spesso di autentica depressione.
Tra il 1995 e il 2007 sono state 541 le navi abbandonate segnalate dall'IMO (organizzazione internazionale dei marittimi) e dall'ILO (l'agenzia dell'Onu per il lavoro). E' però un'opinione comune di sindacati e delle organizzazioni internazionali che questa cifra sia solo la punta dell'iceberg, perchè tiene conto unicamente dei casi ufficiali segnalati alle due organizzazioni. Sfuggono i numerosi casi di navi ed equipaggi in pericolo d'abbandono, con l'abbandono in corso o che si sono risolti prima che entrassero ufficialmente nelle statistiche: per essere inclusi nel database delle navi abbandonate costituito presso l'IMO, infatti, l'abbandono deve essere in corso da almeno 3 mesi. Chi passa anche un solo giorno in meno nelle stesse condizioni non ha diritto ad entrare nelle statistiche, ma gli abbandoni sono molti di più. Soprattutto in tempi di crisi.
Se la media annua fino al 2007 era di 45 navi abbandonate in tutto il mondo – spiega Paolo Cavanna, consulente legale dell'Apostolato del mare Stellamaris, l'opera della Cei dedicata ai marittimi - dalla fine del 2008 a quella del 2010 sono state 35 le richieste di aiuto soltanto in Italia”.
Nuove imbarcazioni, che sommate a quelle ereditate negli anni precedenti, portano a venti quelle attualmente disarmate, ferme nei porti italiani. Augusta, Civitavecchia, Livorno, Ravenna e Genova i più gettonati. Le capitanerie per motivi di spazio, specie dopo la privatizzazione delle banchine, hanno destinato loro le aree più isolate: approdi che diventano cimiteri per navi sotto sequestro o mai più rivendute.
Vi stazionano per dei mesi centinaia di marittimi, provenienti soprattutto dell'est Europa, figli di quell'Urss che sciogliendosi ha costretto i vecchi marinai della flotta russa (altamente professionalizzati e "disciplinati") ad accettare lavori sotto pagati per armatori spesso senza scrupoli. Ma i fantasmi sono anche filippini (la nazionalità più diffusa tra la gente di mare), indiani, europei ed italiani, i meno problematici da rispedire a casa.
"Esistono due tipi di abbandono - spiega l'ammiraglio Raimondo Pollastrini, Comandante generale delle capitanerie di porto in Italia - quello che scatta dopo le ispezioni di sicurezza all'arrivo in porto e quello legato ai debiti contratti dall'armatore durante il viaggio o nei viaggi precedenti. In entrambi i casi il proprietario dichiara di non potersi assumere gli oneri richiesti e per questo la nave e l'equipaggio non possono ripartire. Quest'ultimo, che in alcuni casi non riceveva lo stipendio già da mesi, smette di percepirlo del tutto, così come i viveri, la copertura sanitaria e il carburante per la nave". A quel punto si apre un contenzioso tra i marittimi e l'armatore, per ottenere il sequestro, la vendita all'asta della nave e finalmente ciò che spetta loro.
Colpa della crisi, soprattutto del nolo: "Negli ultimi due anni, il noleggio di un bulk (contenitore per il rifornimento di carburante) - spiega Remo Di Fiore, segretario nazionale Fit Cisl e membro dell'ITF - è passato da venticinque mila dollari al giorno a cinque mila. Cifre tali per cui non c'è margine di guadagno nemmeno per pagare l'equipaggio".
E così centinaia di navi vengono abbandonate nei porti di tutto il mondo. Come è successo alle Ital RoRo, finite sotto sequestro perché l'armatore, la Navigazione Puglia, non ha retto la crisi, lasciando tre navi sparse per il Mediterraneo tra Genova, Tolone e Siracusa.
Colpa anche del fenomeno evergreen delle cosiddette bandiere "di comodo" (o bandiere ombra): navi registrate in paesi diversi da quello dell'armatore, spesso paradisi fiscali, per ottenere vantaggi economici e controlli più blandi dal punto di vista della sicurezza. Con il risultato che diventa impossibile risalire all'identità dell'armatore, che viene così a coincidere con una casella postale.
Nel novembre del 2009 è stata abbandonata la Silver one, una carrétta del mare a bandiera cambogiana, con dieci marittimi rimasti a bordo a per un anno senza notizie e aiuti dall'armatore. Partiti dalla Turchia sono finiti a Civitavecchia, dove la nave è stata fermata su richiesta dell'equipaggio, stanco di non essere pagato da ormai 5 mesi. Senza acqua, cibo e gasolio (necessario per far funzionare tutto su una nave) sono sopravvissuti grazie all'aiuto della Stella Maris. "Senza di loro non potremmo nè bere, nè mangiare, né farci una doccia", raccontava il comandante Dimitar Nedelchev, 64enne bulgaro con trentanni di esperienza in mare e gli occhi bassi per l'umiliazione.
Nella maggior parte dei casi gli equipaggi non vengono rimpatriati dai paesi di origine, soprattutto quando si tratta di extracomunitari, ma sempre più spesso dai comitati territoriali per il welfare.
Nel 2006 l'ILO, riassumendo la normativa precedente, ha adottato una convenzione (Maritime Labour Convention 2006), per garantire condizioni di vita e lavoro più dignitose ai marittimi, inclusa un'assicurazione obbligatoria in caso di abbandono. La convenzione dovrebbe entrare in vigore dopo la ratifica del 30% degli Stati e del 30% del tonnellaggio mondiale (già raggiunto) e dovrebbe diventare obbligatoria al massimo nel 2012. L'Italia non ha recepito le normative precedenti, ma nel 2006, anticipando di fatto la convenzione, ha creato il Comitato nazionale per il welfare della gente di mare con comitati territoriali, per l'appunto, nei porti principali. Un coordinamento dei vari soggetti che intervengono in caso di abbandono (dalla Stellamaris alle capitanerie, ai sindacati, fino agli enti locali) però messo a dura prova dalla mancanza strutturale di fondi governativi, a differenza di quanto avviene in Francia, per esempio. 
 
di Anna Maria Selini

pubblicato su Il Mucchio di febbraio

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