Li
trovi nelle banchine più isolate dei porti italiani. Sopravvivono
nascosti su navi arrugginite, come fantasmi in vecchie case disabitate.
Arrivano da tutto il mondo, ma dopo aver attraversato mari, sono rimasti
senza acqua, cibo e soprattutto stipendio. Li chiamano marittimi
abbandonati, perchè l'armatore che li aveva assunti, arrivati a
destinazione, dichiara di non poterli più pagare e sparisce. E così in
una volta sola si ritrovano disoccupati, senza risorse e in alcuni casi
anche clandestini. Costretti a rimanere a bordo delle navi per non
perdere i loro diritti, sopravvivono solo grazie all'intervento di
associazioni, sindacati e alla generosità delle capitanerie. E' un
destino che tocca centinaia di marinai in tutto il mondo, ma con la
crisi economica i casi di abbandono sono raddoppiati. E nell'attesa che
entri in vigore una convenzione internazionale che dovrebbe tutelarli,
nuovi fantasmi si aggirano invisibili nei porti italiani.
Caffè
turco, alcool, sigarette e santini. Dovevano servire come salvagenti in
mezzo al mare, sono diventati un kit di sopravvivenza sulla terra. Sono
ovunque: nel soggiorno dove il capitano mostra le scartoffie che
documentano l'abbandono, nelle cabine anguste come loculi, dove ognuno
pensa e ripensa alla famiglia lontana e persino in cucina, accanto al
frigorifero vuoto e ai fornelli mantenuti puliti, come se la nave
dovesse ripartire da un momento all'altro. Invece, nella maggior parte
dei casi ci vogliono mesi. Mesi di stipendi che non arrivano, di udienze, avvocati e molto spesso di autentica depressione.
Tra
il 1995 e il 2007 sono state 541 le navi abbandonate segnalate dall'IMO
(organizzazione internazionale dei marittimi) e dall'ILO (l'agenzia
dell'Onu per il lavoro). E' però un'opinione comune di sindacati e delle
organizzazioni internazionali che questa cifra sia solo la punta
dell'iceberg, perchè tiene conto unicamente dei casi ufficiali segnalati
alle due organizzazioni. Sfuggono i numerosi casi di navi ed equipaggi
in pericolo d'abbandono, con l'abbandono in corso o che si sono risolti
prima che entrassero ufficialmente nelle statistiche: per essere inclusi
nel database delle navi abbandonate costituito presso l'IMO, infatti,
l'abbandono deve essere in corso da almeno 3 mesi. Chi passa anche un
solo giorno in meno nelle stesse condizioni non ha diritto ad entrare
nelle statistiche, ma gli abbandoni sono molti di più. Soprattutto in
tempi di crisi.
“Se
la media annua fino al 2007 era di 45 navi abbandonate in tutto il
mondo – spiega Paolo Cavanna, consulente legale dell'Apostolato del mare
Stellamaris, l'opera della Cei dedicata ai marittimi - dalla fine del
2008 a quella del 2010 sono state 35 le richieste di aiuto soltanto in Italia”.
Nuove
imbarcazioni, che sommate a quelle ereditate negli anni precedenti,
portano a venti quelle attualmente disarmate, ferme nei porti italiani.
Augusta, Civitavecchia, Livorno, Ravenna e Genova i più gettonati. Le
capitanerie per motivi di spazio, specie dopo la privatizzazione delle
banchine, hanno destinato loro le aree più isolate: approdi che
diventano cimiteri per navi sotto sequestro o mai più rivendute.
Vi stazionano per dei
mesi centinaia di marittimi, provenienti soprattutto dell'est Europa,
figli di quell'Urss che sciogliendosi ha costretto i vecchi marinai
della flotta russa (altamente professionalizzati e "disciplinati") ad
accettare lavori sotto pagati per armatori spesso senza scrupoli. Ma i
fantasmi sono anche filippini (la nazionalità più diffusa tra la gente
di mare), indiani, europei ed italiani, i meno problematici da rispedire
a casa.
"Esistono due tipi di abbandono - spiega l'ammiraglio Raimondo Pollastrini, Comandante generale delle capitanerie di porto in Italia -
quello che scatta dopo le ispezioni di sicurezza all'arrivo in porto e
quello legato ai debiti contratti dall'armatore durante il viaggio o nei
viaggi precedenti.
In entrambi i casi il proprietario dichiara di non potersi assumere gli
oneri richiesti e per questo la nave e l'equipaggio non possono
ripartire. Quest'ultimo,
che in alcuni casi non riceveva lo stipendio già da mesi, smette di
percepirlo del tutto, così come i viveri, la copertura sanitaria e il
carburante per la nave". A
quel punto si apre un contenzioso tra i marittimi e l'armatore, per
ottenere il sequestro, la vendita all'asta della nave e finalmente ciò
che spetta loro.
Colpa
della crisi, soprattutto del nolo: "Negli ultimi due anni, il noleggio
di un bulk (contenitore per il rifornimento di carburante) - spiega Remo
Di Fiore, segretario nazionale Fit Cisl e membro dell'ITF - è passato
da venticinque mila dollari al giorno a cinque mila. Cifre tali per cui
non c'è margine di guadagno nemmeno per pagare l'equipaggio".
E così centinaia di navi vengono abbandonate nei porti di tutto il mondo. Come è successo alle Ital
RoRo, finite sotto sequestro perché l'armatore, la Navigazione Puglia,
non ha retto la crisi, lasciando tre navi sparse per il Mediterraneo tra
Genova, Tolone e Siracusa.
Colpa
anche del fenomeno evergreen delle cosiddette bandiere "di comodo" (o
bandiere ombra): navi registrate in paesi diversi da quello
dell'armatore, spesso paradisi
fiscali, per ottenere vantaggi economici e controlli più blandi dal
punto di vista della sicurezza. Con il risultato che diventa impossibile
risalire all'identità dell'armatore, che viene così a coincidere con
una casella postale.
Nel
novembre del 2009 è stata abbandonata la Silver one, una carrétta del
mare a bandiera cambogiana, con dieci marittimi rimasti a bordo a per un
anno senza notizie e aiuti dall'armatore. Partiti dalla Turchia sono
finiti a Civitavecchia, dove la nave è stata fermata su richiesta
dell'equipaggio, stanco di non essere pagato da ormai 5 mesi. Senza
acqua, cibo e gasolio (necessario per far funzionare tutto su una nave)
sono sopravvissuti grazie all'aiuto della Stella Maris. "Senza di loro
non potremmo nè bere, nè mangiare, né farci una doccia", raccontava il
comandante Dimitar Nedelchev, 64enne bulgaro con trentanni di esperienza
in mare e gli occhi bassi per l'umiliazione.
Nella
maggior parte dei casi gli equipaggi non vengono rimpatriati dai paesi
di origine, soprattutto quando si tratta di extracomunitari, ma sempre
più spesso dai comitati territoriali per il welfare.
Nel 2006 l'ILO, riassumendo la normativa precedente, ha adottato una convenzione (Maritime Labour Convention 2006), per garantire condizioni di vita e lavoro più dignitose ai marittimi, inclusa un'assicurazione obbligatoria in caso di abbandono. La convenzione dovrebbe entrare in vigore dopo la ratifica del 30%
degli Stati e del 30% del tonnellaggio mondiale (già raggiunto) e
dovrebbe diventare obbligatoria al massimo nel 2012. L'Italia non ha
recepito le normative precedenti, ma nel 2006, anticipando di fatto la
convenzione, ha creato il Comitato nazionale per il welfare della gente
di mare con comitati territoriali, per l'appunto, nei porti principali.
Un coordinamento dei vari soggetti che intervengono in caso di abbandono
(dalla Stellamaris alle capitanerie, ai sindacati, fino agli enti
locali) però messo a dura prova dalla mancanza strutturale di fondi
governativi, a differenza di quanto avviene in Francia, per esempio.
di Anna Maria Selini
pubblicato su Il Mucchio di febbraio
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