lunedì 13 luglio 2009

Il Filetto di Germana

"Tu stai aspettando me, vero?". Un fulmine, avvolto in un grembiule azzurro a fiori fucsia giganti, che rompe l'estasi in cui ero caduta.
Come se non avessi percorso 200 km di curve e tornanti, senza il tempo di capire, mi ero ritrovata seduta nel bel mezzo di Filetto. Più che un pezzo di carne, un delizioso borgo di poche anime, in Lunigiana.
Io e Manuela non ci eravamo mai viste, mi aveva dato appuntamento lì, nella minuscola piazzetta, dove fino a quel momento l'unica traccia della presenza umana era stato il bancone di una chiesa. Quelli dove ci si inginocchia per pregare, abbandonato in un angolo a mò di panchina, e io naturalmente mi ci ero seduta sopra ad aspettare.
"Manuela?", le avevo chiesto. "No sono Germana, Manuela arriva dopo. Seguimi". E io dietro quella furia argentea spettinata, che lì per lì sembrava uscita da un film di Pieraccioni.
Un labirinto, un castello incantato, un magazzino, una casa, un rifugio, un museo, un atelier, un ristorante. Ancora adesso non so in che diavolo di posto sia finita quel giorno. "Casa Galleria di Germana C." si legge all'entrata: pura magia, frutto degli accostamenti arditi di quell'essere bizzarro e intenso, che presto da comico si è rivelato drammatico, intenso. Pieraccioni aveva ceduto il posto ad Almodovar, ai suoi colori e discorsi arditi, sguardi e sorrisi complici, come solo le donne sanno scambiarsi.
E tra una chiacchierata e l'altra con Manuela, arrivata presto con il suo carico di delizia, dolore e intelligenza, quel posto ha cominciato lentamente a prendere forma, diventare familiare.
Nella "stanza da bagno" senza porte (occorre avvertire tutti se ci si va), tra kafatani di seta, vecchie riviste e manichini, un leggio con un catalogo d'arte campeggia trionfalmente di fronte al water. Vassoi di biscotti e pasticcini sono sparsi in ogni sala, in attesa di un ospite da corteggiare, passato di lì a sbirciare quadri o con la stessa curiosità assaggiare formaggi. Affreschi, miele di castagne, primo sale vino e salumi.
Come affettano il pane certe donne. Dita lunghe e sottili che lo premono dolcemente contro il tagliere e con decisione lo intagliano. Spartiti di musica e piacere degli occhi. Germana è uno di quei direttori d'orchestra impeccabili e stralunati. Intervalla pillole di storia, sigarette, sorrisi e politica, come infilasse perle in una collana. Nel frattempo, Manuela ascolta, complice, affidandosi all'arte della padrona di casa, che forse lei stessa ispira.
Tra un ciuffo di prezzemolo e l'altro, Germana, allestisce la prossima mostra. Sfoglia le pagine de la Domenica de l'Avanti, indicandomi un editoriale dedicato ad Anna Kuliscioff, femminista, rivoluzionaria, medico, tra i fondatori del partito socialista italiano. "Che donna - mi dice quasi emozionandosi - ne avremmo bisogno anche oggi", come non ce ne fossero ormai più. Eppure, mentre scappa via fulminea, così come è arrivata, e fuori comincia a piovere, penso che Filetto non sarebbe lo stesso senza questa creatura appassionata.

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