sabato 2 gennaio 2010

Gaza, delusione per la marcia della pace


Erano arrivati al Cairo in 1500, da quarantadue nazioni diverse, per entrare nella Striscia di Gaza e manifestare pacificamente contro la chiusura e l'embargo imposti da Israele quando il movimento fondamentalista islamico Hamas ha preso il potere, nel 2007. Dopo difficili contrattazioni col governo egiziano - manifestazioni represse anche con la violenza e divisioni all'interno dello stesso gruppo - sono riusciti a entrare in 84. Tra questi, nessuno dei 140 italiani che ha aderito alla Gaza Freedom March. A un anno dall'operazione israeliana Piombo Fuso, che ha provocato la morte di oltre 1400 palestinesi e 13 israeliani, Gaza continua a restare isolata.

Secondo gli ultimi aggiornamenti dell'Unwra, l'agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi, nella seconda settimana di dicembre sono entrati a Gaza 615 camion carichi di cibo, prodotti agricoli e per l'igiene. Cifra che rappresenta solo il 26% dei 2.352 camion che entravano ogni settimana in media prima del 2007.
Le strade della capitale Gaza City sono state sostanzialmente ripulite, abbattuti alcuni degli edifici più pericolanti come il Parlamento e l'ala dell'ospedale Al Quds colpita col fosforo bianco. Ma le case distrutte, le macerie e in alcuni casi le tende restano lì.
A Gaza continua a non entrare il cemento per ricostruire, se non attraverso i tunnel al confine con l'Egitto, quegli stessi che ora, con la costruzione di una profonda barriera sotterranea, il Cairo vorrebbe bloccare. Secondo Israele sono la via d'accesso per armi e munizioni, in realtà la principale valvola di sfogo per una popolazione che, per organizzazioni internazionali come Amnesty International, vive per l'80% al di sotto della soglia di povertà, in una situazione di "emergenza umanitaria".
Ma l'emergenza a Gaza non è la conseguenza di Piombo fuso, piuttosto della chiusura dei confini imposta dal 2007. Questo il messaggio che i partecipanti alla Gaza Freedom March volevano lanciare al mondo, marciando fino al valico israeliano di Eretz.
Nessun italiano fra le 84 persone entrate. Alcuni dei nostri connazionali nei giorni scorsi sono rimasti coinvolti (due i feriti) nelle cariche della polizia egiziana. C'erano invece moltissimi americani, soprattutto legati all'associazione Code Pink che ha organizzato la marcia e ha contrattato con il governo egiziano, scatenando le ire degli altri partecipanti, l'entrata di un ristretto gruppo di persone.
"Gli egiziani - racconta Ariel Vegasen, delle Code Pink - hanno attuato un'azione repressiva intensa e molto dura che purtroppo ha creato tensione e spaccato il gruppo. Ma credo che fosse comunque necessario entrare". "Io ho accettato - le fa eco Angela Savin, californiana - perché sento la responsabilità di documentare e mostrare ulteriormente al mondo quello che succede qui dentro, anche se è davvero una delusione il fatto che siamo così pochi".
Pochi come i partecipanti alla marcia dentro Gaza: nemmeno cento persone, per nemmeno cento metri, dal check point di Hamas hanno sfilato fermandosi a diverse centinaia da Eretz. Pochi anche i palestinesi che hanno partecipato alla marcia. "Vogliamo solidarizzare con gli internazionali e incoraggiarli a venire - racconta Saber Alza'aneen del Local initiative di Beit Hanoun - ma chiaro è l'intento di isolarci".
I partecipanti alla Gaza Freedom March hanno portato anche materiali sanitari, giochi per bambini e beni di prima necessità. Ancora in attesa di entrare invece il convoglio "Viva Palestina" del parlamentare britannico George Galloway, con il quale viaggiano quasi 700 protesi dell'anca per un valore commerciale di quasi 2 milioni di euro, raccolte dall'associazione genovese "Urgenza sanitaria" e destinate all'ospedale Al Awda di Jabalia. Ma anche per loro, per ora, i cancelli di Gaza restano chiusi.


di Anna Maria Selini
pubblicato su Repubblica.it

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