
Ma la data da segnare nei libri di storia, sottolineano da queste parti, con la paura di chi troppo spesso è stato dimenticato, è un'altra: il 17 dicembre del 2010, quando Mohammed Bouazizi, un ambulante di 26 anni, si è dato fuoco ed è morto, dopo che una poliziotta gli aveva sequestrato la bilancia e lui aveva inutilmente chiesto di essere ricevuto dal governatore locale.
Sidi Bouzid e la Tunisia non è stata più la stessa: da qui, estendendosi a macchia d'olio fino a toccare in poche settimane la capitale, la gente è scesa in strada chiedendo dapprima libertà, dignità, lavoro. E poi la fine del regime.
Prima i giovani e i disoccupati, poi i sindacati, gli studenti, gli avvocati, gli insegnanti e la gente comune. La rabbia covata per troppo tempo si è sfogata attraverso ogni canale: dalle piazze reali a quelle virtuali, ingigantendosi ed echeggiando nei blog, via facebook e twitter.
La primavera, come amano chiamarla i media (ma attenzione a definirla 'rivoluzione dei gelsomini', visto che così Ben Ali soprannominò la sua presa di potere, ndr) è sbocciata, contagiando poi l'intero mondo arabo.

E allora tutti in fila. Ogni giorno, centinaia di persone, giovani, donne, anziani: li trovi in coda fuori dagli uffici di collocamento, seduti sui muretti del governatorato, lungo i marciapiedi o all'ombra di un giardino. Perchè essere disoccupati spesso è l'unico lavoro.
"Qui non c'è niente - racconta Sabeur, il nostro fixer -. Niente lavoro, niente dignità, niente speranza. Anche se provassi a vendere i miei genitori, non avrei di che campare. Sono vecchi e malconci”. Sabeur ha 26 anni e parla perfettamente quattro lingue. L'italiano, come molti, l'ha imparato guardando la tv nostrana. Lavora a giornata come autista, per guadagnare l'equivalente di una decina di euro e quando gli va meglio aiuta i giornalisti nel fissare appuntamenti e interviste. Ma adesso Sidi Bouzid se la sono dimenticati tutti e l'unico albergo in città sembra una cattedrale kitch in un deserto che non è nemmeno un deserto. Sabeur chiede solo di lavorare e come lui tutti i giovani che trascorrono le serate, a centinaia, spalmati nei tavolini dei bar, magari con un diploma o una laurea in tasca, giocando a carte o fumando un eterno narghilè.
Vista da qui Tunisi, il Nord, può avere un solo significato: un porto da cui salpare. Imbarcarsi, andarsene, rischiare. In Italia perchè no.
"Meglio la Francia - mi dice un anziano incrociato per strada, inveendo contro di me quando sente che sono italiana -. Avete fatto un casino per 5000 rifugiati tunisini e noi, in piena rivoluzione abbiamo accolto centinaia di migliaia di profughi in fuga dalla Libia".
Già. Perchè anche questo è stata la primavera tunisina, una grande prova di solidarietà.
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