giovedì 12 aprile 2012

Arrigoni, a un anno dall'uccisione tanti misteri e ritardi nel processo

E' passato un anno e Gaza, come l'Italia, si prepara a ricordare con numerose iniziative "Victor", come tutti nella Striscia chiamavano Vittorio Arrigoni, l'attivista italiano rapito e ucciso il 15 aprile dell'anno scorso  da una presunta cellula salafita. Ma nella ricostruzione della vicenda restano molti punti oscuri, che il processo in corso a Gaza non ha assolutamente chiarito tanto che la famiglia Arrigoni nei giorni scorsi ha scritto una lettera al premier palestinese, Ismail Haniya, chiedendo la verità. Il tutto nel disinteresse dello Stato italiano.

Arrigoni sarebbe stato rapito per effettuare uno scambio con alcuni detenuti salafiti, in particolare Abu Al Walid Sahidani, presunto leader dell'organizzazione Attauhid wal Jihad, arrestato pochi mesi prima dal governo di Hamas. E la scelta sarebbe caduta proprio sull'italiano - dicono tre dei cinque appartenenti al gruppo rimasti in vita e oggi sotto processo  -  per via della sua notorietà e di uno stile di vita "troppo lontano dai costumi e le tradizioni di Gaza".

Ma prima della scadenza dell'ultimatum, data dagli stessi rapitori, Arrigoni fu ucciso - sempre secondo gli imputati - su decisione di Abu Abdul-Rahman Al Breizat, un giordano 22enne che tutti indicano come il leader del gruppo e che, sentitosi braccato dalle forze di sicurezza di Hamas, avrebbe voluto sbarazzarsi di Arrigoni per poi darsi alla fuga.

Ma è Breizat il vero buco nero di tutta la faccenda. Di lui non si sa praticamente nulla, se non che era entrato a Gaza con un convoglio umanitario, per poi uscire e rientrare attraverso i tunnel che dall'Egitto portano a Gaza e che sono gestiti in maniera oscura proprio da Hamas. Il giordano, però, è rimasto ucciso, insieme a Bilal Omari, nel blitz delle forze di sicurezza, dopo aver rifiutato di arrendersi e aver sparato contro i poliziotti. Su di lui non sono state fatte ulteriori indagini.

Nemmeno gli altri imputati dicono di sapere nulla, se non che fosse molto religioso. E' lui l'unico salafita accertato, in quanto sia i due basisti, Khader Jamr e Tamer Hasanah, che Salfiti, l'unico sopravvissuto al blitz, negano di esserlo, così come di appartenere alla presunta organizzazione Attauhid wal Jihad. E parenti, colleghi, religiosi e amici confermano.

"Il problema è che le indagini sono rimaste segrete e a noi non è dato conoscere tutti gli elementi raccolti", afferma Gilberto Pagani, il legale della famiglia Arrigoni. E anche sulla gestione del processo Pagani resta critico. "In una situazione in cui c'è uno stato di guerra, la legge marziale, un processo condotto da un tribunale militare, le confessioni degli imputati già rese, la mia idea era che si risolvesse tutto in maniera rapidissima". E invece sono passati nove mesi dall'inizio del processo e ancora non si è praticamente entrati nel vivo, tra continui rinvii, udienze che durano pochi minuti e un imputato, accusato di favoreggiamento, che ha addirittura fatto perdere le proprie tracce. "Da un lato c'è un'indifferenza umana comprensibile  -  continua Pagani  -  visto tutto quello che succede a Gaza, ma dall'altro non possiamo non pensare che ci siano delle questioni politiche".

A pesare è soprattutto la strategia degli avvocati, che continuano a dichiarare di non essere informati sui fatti, ottenendo così rinvii, nel rispetto del codice in vigore a Gaza (la legge rivoluzionaria criminale introdotta dall'Olp nel 1979), o che addirittura non si presentano, come alla scorsa udienza. "Non è normale che gli avvocati o i testimoni o il medico legale non si presentino e non è normale che non si intervenga in questo senso", sottolinea Pagani.
Arrigoni dava fastidio a tanti, al governo israeliano, in primis, che criticò pesantemente soprattutto durante l'operazione militare "Piombo fuso", quando fu l'unico italiano a rimanere dentro Gaza, anche per documentare quello che lui definiva il "massacro", ovvero la morte di oltre 1400 palestinesi e le violazioni compiute dalle forze armate israeliane, come l'uso di fosforo bianco in aree abitate e gli attacchi a scuole, ambulanze o depositi delle Nazioni Unite. Ma dava fastidio anche al governo di Gaza e a tutti quelli che non vedevano di buon occhio la sua indipendenza.
Il 15 marzo del 2011, quando ci fu un barlume di Primavera araba anche nella Striscia, con decine di migliaia palestinesi, soprattutto giovani, che si riversarono nelle strade per chiedere la fine delle divisioni tra i partiti palestinesi, Hamas attuò una repressione molto violenta nei confronti dei ragazzi e Vittorio non solo si espresse pubblicamente contro, ma chiese di presenziare agli interrogatori.

"Il lavoro di informazione che faceva dava fastidio a tutti e se non è stato ucciso per questo, sicuramente a molti ha fatto comodo che non ci sia più", sostiene Maria Elena D'Elia, coordinatrice italiana del Free Gaza Movement.  "Non bisogna essere  investigatori per capire che c'è qualcosa di poco chiaro in tutta questa vicenda  -  le fa eco Egidia Beretta, madre di Arrigoni - Noi vogliamo solo sapere la verità, vogliamo sapere perché Vittorio". Ma se restano incertezze sul perché, l'avvocato Pagani ha una certezza. "Il nostro governo non ha mosso un dito in tutta questa vicenda ed è una cosa vergognosa  -  dice - E non si può giustificarlo semplicemente con il fatto che l'Italia non riconosce la Palestina e che Hamas è considerata dal nostro governo un'organizzazione terroristica. E' stato ucciso un nostro connazionale all'estero e sarebbe dovere dell'esecutivo intervenire".

In realtà, il nuovo ministro della Giustizia, Paola Severino, nel febbraio del 2012 ha risposto alle lettere dell'avvocato Pagani, promettendo di esaminare il caso ed esprimendo apprezzamento per la decisione della famiglia Arrigoni che pubblicamente si è detta contraria all'eventuale applicazione della pena di morte per i presunti assassini. Ma alle parole del ministro finora non sono seguiti i fatti e sulla vicenda di Arrigoni continuano a pesare molti punti oscuri.

di Anna Maria Selini

pubblicato su Repubblica.it

La fotografia è di Filippo Bacciocchi

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