giovedì 26 febbraio 2009

Frecciarossa e famiglia

I treni sono un po' lo specchio dei paesi che attraversano. I nostri, poi, mi son sempre sembrati un'avventura antropologica lungo lo Stivale. A partire dai vecchi intercity con i loro scompartimenti, in cui, volente o nolente, ti dovevi confrontare con altre cinque persone, fino a condividerne storie, umori, sentimenti, pane e salame.
Oggi, nell'epoca di Frecciarossa "Milano-Roma in tre ore" (mah...), mentre i treni locali scoppiano, gli intercity scompaiono e quei pochi che restano accumulano ritardi leggendari, è l'eurostar a dettar legge. E se all'eurostar aggiungi i telefonini, il ritratto è bello che fatto. Uno specchio nazionale sempre più in frantumi.
Prendiamo ad esempio - che poi viene da qui l'ispirazione, naturalmente - un viaggio Bologna-Roma andata e ritorno in giornata.
Salita a bordo, il posto prenotato con un certo criterio, è occupato da una bella famigliola: papà, mamma, ragazzina sui 14-15 anni, bimba di 9 anni. "Non le importa signorina, fare cambio, così stiamo tutti vicini?" Ci mancherebbe. Mi metto qui, controsenso, non importa, siete così carini...".
Peccato che la famiglia cuore fosse l'esempio perfetto di quello che siamo diventati. Tre cellulari (la piccola per lo meno non l'ha mostrato) ognuno dotato di suoneria "un tono più alta del volume del televisore di casa", per citare la mamma che al telefono, naturalmente, commentava così un sms arrivato alla figlia. Peccato che la ragazza amasse leggere a voce alta l'oroscopo di tutti i suoi famigliari, parenti e amici lontani, masticando per tutto il tempo la gomma, come Jessica in "Viaggi di nozze".
La mamma: splendida 40enne compressa nei suoi jeans taglia 42, unghie rigorosamente ricostruite e rosseto in tinta con la borsa ultimo modello LV.
Il padre: un professore del nord, probabilmente di letteratura o storia dell'arte, visto che ha illustrato con tono e volume da assemblea di classe tutti i monumenti di Firenze, "ma quelli gratis, tranquille, che nessuno conosce".
Uomo colto, preparato, ma curiosamente più attento a sapere dalla figlia maggiore se l'amica fosse riuscita a fare la modella "anche se con quel culo lì..." che a contribuire alla sua formazione. "Papà cosa sono gli Uffizi?" "Uno dei musei più importanti del mondo, tesoro". "Ci andiamo, papà?". "Ma no, amore, sono enormi, bisogna fare ore di coda e voi vi stancate...Ci andiamo un'altra volta, prenotando, così non aspettate. E poi ci sono tanti bei negozi prima di arrivarci, sono sicuro che ti interessano di più".
A Firenze, ahimè, la convivenza coatta con la famiglia cuore è terminata.
Quando ero bambina ho imparato che se ci sono altre persone il volume della conversazione va moderato per rispetto di queste ultime. Mi hanno detto che se voglio ascoltare la musica non devo obbligare il mio vicino a ballare insieme a me. Appena salgo in treno o entro in un luogo pubblico al chiuso, abbasso il volume del telefonino, non solo per non disturbare gli altri, ma anche perchè gli affari miei restino tali. Extraterrestre.
Mio padre, ragioniere innamorato dell'arte, mi ha sempre fatto credere che gli Uffizi sono una di quelle cose che tutto il mondo ci invidia e che fare la coda è solo un'indispensabile incombenza da sopportare prima di godersi lo spettacolo. Fantascienza?
La sera, nel viaggio di ritorno, la famiglia cuore non c'era più. Il mio eurostar era finalmente avvolto dal silenzio e dalla luce del tramonto. Spazio per allungarsi. Tempo per oziare. Fin troppo, vista la rottura di un treno sulla nostra tratta e l'arrivo a Bologna con un ritardo accumulato di 50 minuti. Aspettando Frecciarossa. Ciuf ciuf.

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