Ciò a cui dovrebbe tendere ogni giornalista è la ricerca della verità. Se non la verità stessa. Chimere e isolati sprazzi di luce, per molti di noi. Ma non per tutti. Specie per chi in questa ricerca rischia ogni giorno la vita o addirittura l'ha già persa.
Quasi una missione, una causa cieca alla quale votarsi. Al di sopra di tutto. Fino alla fine.
Uccidere questi giornalisti non è come uccidere chiunque. Sì le vite sono tutte uguali. Ma oltre a cancellarne una, in questo caso, si annienta la verità, il diritto di sapere, di capire. La libertà di tutti.
Anna Politkovskaja è morta il 7 ottobre del 2006. Uccisa in un agguato, nell'ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando. Era una giornalista "scomoda". Nei suoi articoli, per il settimanale russo Novaja Gazeta, attaccava spesso l'esercito russo e il Governo dell'allora presidente Vladimir Putin per il mancato rispetto dei diritti civili, in Russia e soprattutto in Cecenia, durante la guerra, che lei aveva seguito in prima persona.
Oggi, a quasi tre anni dalla morte, il processo per il suo omicidio si conclude senza colpevoli. Dopo tre mesi di udienze, rigorosamente a porte chiuse, assistiamo alla piena assoluzione dei quattro imputati. Il caso Politkovskaja è chiuso, signori. Senza mandanti, senza assassini, senza risposte. Anna è stata uccisa per la seconda volta. Anna è morta inutilmente.
Non abbiamo la certezza che l'omicidio sia dovuto, come quasi tutti credono, alla sua aperta opposizione alla politica di Mosca, specie per la guerra in Cecenia. Non sappiamo chi ci sia veramente dietro la sua morte.
Però sappiamo che Anastasia Barburova, giovane giornalista della stessa testata, idealmente indicata come l'erede di Anna, nel gennaio scorso ha fatto la stessa fine. Per strada, ancora una volta uccisa a sangue freddo.
Sappiamo che con lei salgono a 14 i giornalisti uccisi negli anni di Putin, da sicari mai scoperti. "Senza che polizia e magistratura - scrive Sandro Viola - riescano a cavare dagli incartamenti una traccia, un sospetto, sui mandanti e gli esecutori. Senza che dalla società russa salga un grido, un'invocazione, perché sui giornalisti morti ammazzati sia detta la verità e sia fatta giustizia".
La Russia è lontana, è vero. Da noi le cose vanno meglio, anche se basta citare le ombre sulla morte di Ilaria Alpi o di Maria Grazia Cutuli, per capire come anche qui la verità sia spesso cancellata dal luogo del delitto.
La Russia è lontana, ma come si può stare zitti di fronte a tutto questo? Come ci si può non indignare davanti a questo doppio assassinio? Come si fa a dimenticare e passare oltre, quando queste persone, queste donne, hanno perso la vita anche per noi?
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