giovedì 1 marzo 2012

Parkour, via dalla "prigione" di Gaza

Stanno letteralmente saltando da una parte all’altra dell’Italia. Perché Mohammed, Abdallah, Ibrahim e Jehad fanno parkour, la disciplina nata nelle banlieu parigine, che consiste nell'oltrepassare ostacoli e barriere. Ma la barriera più importante l’hanno superata uscendo per la prima volta nella loro vita dalla Striscia di Gaza. Da Roma a Bologna, passando per Milano, Bergamo e Palermo, i quattro ragazzi palestinesi hanno incontrato studenti, insegnanti e altri atleti di parkour, allendandosi ed esibendosi con loro nelle scuole e nelle piazze italiane.

Un tour di due settimane, realizzato grazie ad una cordata di associazioni (Cooperativa Sociale Eureka Primo, Un ponte per, Assopace, Jalla Onlus, ACS e Provincia di Benevento) e finanziato dalla Provincia di Roma. “Per i ragazzi questo è un sogno – racconta Meri Calvelli, la coordinatrice del progetto –. Come tutti i giovani della Striscia, circa il 70% della popolazione, sentono la necessità di uscire da quella che è un'enome prigione, superando le barriere che bloccano la possibilità di una vita normale”. “Non credo che sia facile per voi capire cosa significhi uscire da Gaza - esordisce Ibrahim, 25 anni, manager del gruppo –. Venendo qui abbiamo percorso distanze che per noi finora erano inconcepibili”.


La Striscia di Gaza è un fazzoletto di terra lungo 40 km e largo al massimo dieci. I suoi confini sono controllati dall'Egitto e soprattutto da Israele, ex potenza occupante, che dal 2005 ha lasciato Gaza, ma che continua a decidere dell'entrata e dell'uscita di materiali e persone. Da quando governa il movimento islamista Hamas, inoltre, le operazioni militari israeliane, così come i lanci di razzi palestinesi su territorio israeliano, si susseguono, rendendo la vita della gente di Gaza un vero e proprio incubo. “I continui attacchi, la distruzione degli ambienti e delle infrastrutture ci hanno privato anche degli spazi dove praticare sport e hobby”, spiega Jehad, 24 anni. E così anche per questo i ragazzi hanno iniziato a fare parkour.

A dare il via è stato Abdallah, 24 anni, che già faceva acrobatica. “Ho visto un film su Internet e ho iniziato ad allenarmi – racconta - poi ho coinvolto gli altri. All'inizio non è stato facile, c'era ostilità verso di noi. Non è uno sport della nostra tradizione e quando ci arrampicavamo sui muri, ci scambiavano per ladri”. Oggi sono il primo gruppo di parkour di Gaza e tra i pochi del mondo arabo. Si allenano tutti i giorni “perchè questo non è solo uno sport, ma una filosofia che ti aiuta a superare le difficoltà”.  “Quando uno nasce a Gaza, nasce già responsabile – dice Mohammed, 23 anni –. Vogliamo mostrare che nonostante tutto riusciamo a vivere normalmente, senza smettere di sognare”. E un altro sogno i ragazzi ce l'hanno già: creare una vera scuola di parkour a Gaza. In attesa che i muri si possano abbattere e non soltanto saltare. 

di Anna Maria Selini

pubblicato su FamigliaCristiana.it

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