venerdì 10 ottobre 2008

Compleanno embedded



Qualcuno mi ha chiesto se questo è stato il compleanno più bello della mia vita. Non so dire se sia esattamente così (mi auguro che gli altri siano meglio!) ma di certo è stata una giornata "speciale", trascorsa a bordo di una nave della Marina italiana.
Ho visto da vicino un elicottero che caricava un ferito, come si doma un incendio nella sala macchine (il pericolo maggiore per una nave in mezzo al mare), come si abborda un'imbarcazione sospetta e come si controlla via radar uno spazio sotto sorveglianza Onu.
Tutte simulazioni, la guerra non c'è più per fortuna, ma la tensione è palpabile, dal primo momento in cui siamo arrivati in questo spicchio di Mediorente.
Siamo atterrati in Libano dopo 16 ore di viaggio interminabile, di cui più di 5 su un C27j sparta: aereo militare con due motori a elica, spalmati in due file di sedili-amache una di fronte all'altra, senza poter andare in bagno perchè il bagno è una tazza appesa alla parete dietro una tenda (a onor di cronaca, alle ragazze viene fornita una bottiglia di plastica tagliata il cui contenuto va poi riversato dentro la tazza).
Ad aspettarci fuori dal terminal c'erano due mezzi blindati e soprattutto 23 giubbotti antiproiettile, uno per sedile, da indossare ogni volta che ci spostiamo in autobus per il paese. Fa un certo effetto, soprattutto la prima volta. Di certo, è tutto molto diverso da quello che ho visto finora.
La base militare di Tibnin (nel sud del Libano) è bella ma spartana: le camere da letto sono dei container impilati uno sull'altro, tre rotoli di carta igienica a testa, la pila per aprire la porta di notte, brandine militari ricurve su cui ogni sera crolliamo come bimbi per la stanchezza.
Il mondo fuori è diverso, in fondo come te l'aspetti, non ti può lasciare indifferente. I ragazzini per strada ti salutano e si emozionano al passaggio del convoglio che ci scorta tutti i giorni, ma ci sono anche quelli che ti fanno il terzo dito o fingono di tirarti le pietre.
Le donne camminano senza alzare lo sguardo da terra e ogni curva, ogni metro di campagna bruciata dal sole, dalla povertà e dalla guerra, in teoria potrebbe essere l'ultimo. Lo percepisci, anche se i nostri militari si muovono sicuri e spavaldi, senza smettere di essere umani. I manifesti giganti con le facce dei leader politici di Amal o Hezbollah, le scritte ineggianti alla resistenza e le immagini che celebrano la distruzione dei mezzi "nemici" fanno il resto.
Non puoi che provare rispetto, però, per le persone che ti guardano da dietro le case, le macchine oscurate o i veli sulla testa. Vorresti fermarti, scendere dal pullman e conoscere le loro storie, ma in fondo capisci che se non lo fai non è soltanto per una questione di sicurezza (la nostra). La gente qui non si fida, ma come potrebbe, dopo 30 anni di guerra ininterrotta?
E così non puoi evitare di riflettere, come di continuare a guardare e fotografare. Sperando che tutto diventi più familiare: paesaggi, facce, gesti e pensieri.

ps. La sera, nonostante avessi detto che non ce n'era bisogno, mi hanno fatto una bellisima sopresa con tanto di torta, spumante e ricordo in argento. Grazie in particolare a Roberto e Isabella, mi avete emozionato tutti! E grazie agli sms di auguri!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Nel mondo ci sono tanti luoghi simili a quello che imparerai molto presto ad amare, nonostante tutto. Posti in cui il passaggio di qualche insegna straniera, qualunque sia, solleva la polvere delle strade battute sopratutto da donne e bambini. E con la polvere, il sospetto, la diffidenza, insieme alla segreta speranza che questi 'nuovi' arrivati rimettano finalmente le cose a posto. Ho imparato a guardare, ad ascoltare, a mettermi nei panni degli altri, a condivedere aspettative e delusioni. E ad ascoltare tante domande, prima di dare risposte. Anna, abbiamo un gran bisogno di racconti con l'anima dentro. Auguri. Laura.

Anonimo ha detto...

Anna come stai, ricevi le nostre mail???? Miao Ivana