venerdì 12 marzo 2010

Inviati di postguerra e mascarpone

Metti una sera a cena con due "vecchi" inviati di guerra.
Non si vedevano dal '99, quando erano stati insieme in Macedonia, dove avevano assistito all'arrivo dei profughi kosovari e alla partenza definitiva della Jugoslavia.
Due ore a ricordare le avventure in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran, Libano, Turchia e Israele. Le intifade e i rapimenti, gli scherzi e i colpi bassi tra colleghi, le spie, i talebani, i multitasche su misura e le pizze in ambasciata.
E io lì, tra un'orata, un bicchier di vino e un mascarpone, con le gambe a penzoloni sulla storia. Come una bimba che ascolta ed è già volata via con la fantasia.
"Altro che inviati di guerra, noi al massimo siamo inviati di postguerra" ha detto scherzando uno dei due, nel tentativo di riportare me e tutti i miti giù per terra.
Ci sono idee che insegui per anni e quando le avvicini cominci a chiederti se il senso non stia tutto nel rincorrerle.
Per gli inviati di guerra non c'è più spazio: la qualifica è sparita addirittura dal Contratto nazionale giornalistico (ad avercelo!) e gli inviati sono i primi a saltare nei tagli di questi tempi. Figuriamoci quelli di guerra, poi, ad eccezione di pochi eletti.
Per una testata è più sicuro (ed economico) affidarsi a internet (alla faccia delle verifiche), agli stringer (giornalisti locali, quelli che rischiano davvero) e a volte agli stessi civili che con telefonino e macchina fotografica rimpiazzano senza troppi problemi decenni e chilometri di professione.
"Il rischio maggiore, poi, è quello di voler essere sempre da un'altra parte - mi ha confidato il mio amico e collega, con l'esperienza di chi ci è passato e ripassato -. Essere qui e volere andare lì, stare lontano da casa e aver voglia di tornarci. La cosiddetta sindrome del dirottatore",
Un dirottatore che oggi è più squattrinato e vulnerabile di allora, quando i rimborsi spese non solo c'erano, ma erano milionari. Quando le testate garantivano per i propri inviati e la paranoia più grande non era 'venderò o no il pezzo', ma 'riporterò a casa o no la pelle'.
Dirottatori moderni e quindi precari: sul lavoro e spesso, di riflesso, anche nella vita sentimentale. Dirottatori schizofrenici che vorrebbero averlo perso, forse, quell'aereo, ma che una volta saliti a bordo non possono far altro che deglutire e decollare. Perché è solo in volo che potranno capire dove, come e quando atterrare.
Nell'immagine la battaglia di Balaclava (Guerra di Crimea,1854). Venne raccontata dal corrispondente del Times William H. Russell, considerato il primo inviato di guerra della storia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quindi quante verità ci sono? una o molte? oggi oramai direi molte... per i dirottatori, mi stavo chiedendo: quante volte si può dirottare un aereo in una vita? one, hai una chance: giocala fino in fondo e poi atterra.mk

ANNA MARIA SELINI ha detto...

Chi lo sa...