Unghie laccate di rosso, sguardo fiero enfatizzato dal trucco, femminismo e femminilità in ogni gesto. Vjollca Krasniqi è la direttrice del centro di ricerche e politiche di genere di Pristina, nonché docente alla facoltà di Sociologia. La incontriamo per capire meglio qual è la condizione delle donne in Kosovo.
Per le strade di Pristina, emancipazione e tradizione si sovrappongono continuamente: giovanissime in abiti succinti, adolescenti col cellulare in mano, professioniste in eleganti tailleur, camminano tra ragazze velate dalla testa ai piedi e anziane con il fazzoletto annodato dietro la nuca.
Il Kosovo ha una delle Costituzioni più avanzate dei Balcani in termini di diritti delle donne. Molti di questi, però, sono solo sulla carta: la famiglia albanese è ancora rigidamente patriarcale e alle donne serbe è pressoché negata la libertà di movimento fuori dalle enclaves.
“Gli anni dopo la guerra – spiega Vjollca – hanno portato molti cambiamenti nella politica: oggi abbiamo quote rosa del 30% sia in ambito nazionale che locale, ma nella vita privata le donne sono ancora subordinate. Le giovani hanno apparentemente più libertà di scelta delle loro madri, ma a causa della situazione economica hanno più limiti e meno chance di fare carriera”.
“La condizione femminile è cambiata dopo la guerra – sostiene la giornalista Ilire Zajimi, la “Lilli Gruber del Kosovo” – adesso le donne lavorano e sono più coraggiose, anche se questo spesso si traduce in più divorzi”.
Ma non per tutte è così. Besa Ismaili fa l’interprete per l’Osce, è musulmana e da pochi anni ha scelto di indossare il velo islamico. “La mia fortuna – spiega - è lavorare per un’organizzazione internazionale, perché uffici pubblici e aziende private kosovare difficilmente assumono le donne islamiche. Ogni epoca ha il suo capro espiatorio: nell’800 erano i neri, ora sono le donne col velo”.
di Anna Maria Selini
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