giovedì 14 febbraio 2013

Nel nome del padre

E' strano come crescendo, certe cose, che prima ti procuravano una sorta di malessere e fastidio, siano capaci di generarti una sensazione quasi opposta.
Non ho mai sopportato i funerali, la dimensione pubblica che inevitabilmente li contraddistingue e quel dover mostrare e in parte condividere il proprio dolore con altre persone, sconosciuti compresi.
Ho sempre pensato che il dolore, la perdita di qualcuno, fossero talmente intimi da andare salvaguardati da sguardi indiscreti, da tenere nascosti, quasi segreti. In un'altra stanza, un'altra casa, un'altra chiesa.
Oggi mi ricredo.
Certo, ognuno resta col proprio personalissimo vuoto, ma quel momento di condivisione, la cerimonia con i suoi tempi lenti, le visite, le preghiere o i riti laici e soprattutto l'essere in tanti con quei pensieri in fondo tutti così uguali, insomma tutto questo, forse serve davvero.
Serve a dare un senso, ultimo, alla vita della persona che se ne è andata. Serve ad accompagnarla, a ricordarla e anche a raccontarla a quegli sconosciuti capitati li quasi per caso o, come me, per amore di qualcun'altro.
Serve a chi resta. Agli amici, ai parenti, alle mogli e ai mariti. E serve ai figli, in nome di quel padre, così grande, che fino a quel momento li ha guidati.

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